domingo, 2 de dezembro de 2012

DOM PROSER GUÉRANGER , PRATICA DELL'AVVENTO

PRATICA DELL'AVVENTO



Vigilanza.

Se la santa Chiesa, madre nostra, passa il tempo dell'Avvento in questa solenne preparazione alla triplice Venuta di Gesù Cristo; se, sull'esempio delle vergini savie, tiene la lampada accesa per l'arrivo dello Sposo, noi che siamo le sue membra e i suoi figli, dobbiamo partecipare ai sentimenti che la animano, e prendere per noi quell'avvertimento del Salvatore: "Siano i vostri lombi precinti come quelli dei viandanti; nelle vostre mani brillino fiaccole accese; e siate simili a servi che aspettano il loro padrone" (Lc 12,35). Infatti, i destini della Chiesa sono anche i nostri; ciascuna delle anime è, da parte di Dio, l'oggetto d'una misericordia e d'un'attenzione simili a quelle che egli usa nei riguardi della Chiesa stessa. Essa è il tempio di Dio perché composta di pietre vive; è la Sposa perché è formata da tutte le anime che sono chiamate all'eterna unione. Se è scritto che il Salvatore ha acquistato la Chiesa con il suo sangue (At 20,28), ognuno di noi può dire parlando di se stesso, come san Paolo: Cristo mi ha amato e si è sacrificato per me (Gal 2,20). Essendo dunque uguali i destini, dobbiamo sforzarci, durante l'Avvento, di entrare nei sentimenti di preparazione di cui abbiamo visto ripiena la Chiesa.



Preghiera.

E innanzitutto, è per noi un dovere di unirci ai Santi dell'Antica Legge per implorare il Messia, e soddisfare così quel debito di tutto il genere umano verso la divina misericordia. Onde animarci a compiere questo dovere, trasportiamoci con il pensiero nel corso di quelle migliaia di anni rappresentate dalle quattro settimane dell'Avvento, e pensiamo a quelle tenebre, a quei delitti di ogni genere in mezzo ai quali si agitava il vecchio mondo. Che il nostro cuore senta viva la riconoscenza che deve a Colui che ha salvato la sua creatura dalla morte, e che è disceso per vedere più da vicino e condividere tutte le nostre miserie, fuorché il peccato! Che esso gridi, con l'accento dell'angoscia e della fiducia, verso Colui che volle salvare l'opera delle sue mani, ma che vuole pure che l'uomo chieda ed implori la propria salvezza! Che i nostri desideri e la nostra speranza si effondano dunque in quelle ardenti suppliche degli antichi Profeti che la Chiesa ci mette sulle labbra in questi giorni di attesa. Disponiamo i nostri cuori, nella più larga misura possibile, ai sentimenti che essi esprimono.



Conversione.

Compiuto questo primo dovere, penseremo alla Venuta che il Salvatore vuol fare nel nostro cuore: Venuta, come abbiamo visto piena di dolcezza e di mistero, e che è la conseguenza della prima, poiché il buon Pastore non viene soltanto a visitare il suo gregge in generale, ma estende la sua sollecitudine a ciascuna delle pecore anche alla centesima che si era smarrita. Ora, per ben comprendere tutto questo ineffabile mistero, bisogna ricordare che, siccome non possiamo essere accetti al nostro Padre celeste se non in quanto egli vede in noi Gesù Cristo, suo Figlio, questo Salvatore pieno di bontà si degna di venire in ciascuno di noi, e, se noi lo vogliamo, di trasformarci in lui, di modo che non viviamo più della vita nostra ma della sua. Il fine di tutto il Cristianesimo è appunto di divinizzare l'uomo attraverso Gesù Cristo: questo è il compito sublime imposto alla Chiesa. Essa dice ai Fedeli con san Paolo: "Voi siete i miei figlioletti; poiché io vi do una seconda nascita, affinché si formi in voi Gesù Cristo" (Gal 4,19).

Ma, come nella sua apparizione in questo mondo il divino Salvatore si è dapprincipio mostrato sotto le sembianze d'un bambino prima di giungere alla pienezza dell'età perfetta che era necessaria porche nulla mancasse al suo sacrificio, egli intende prendere in noi gli stessi sviluppi. Ora è nella festa di Natale che si compiace di nascere nelle anime, e diffonde per tutta la sua Chiesa una grazia di Nascita alla quale, purtroppo, non tutti sono fedeli.

Ecco infatti la situazione delle anime all'avvicinarsi di quella ineffabile solennità. Alcune, ed è il numero minore, vivono pienamente della vita del Signore Gesù che è in esse, ed aspirano in ogni istante all'aumento di tale vita. Altre, in numero maggiore, sono vive, sì, per la presenza del Cristo, ma sono malate e languenti, non desiderando il progresso della vita divina, perché la loro carità si è raffreddata (Ap 2, 4). Il resto degli uomini non gode di questa vita, e si trova nella morte; poiché Cristo ha detto: Io sono la Vita (Gv 14,6).

Nei giorni dell'Avvento, il Salvatore va a bussare alla porta di tutte le anime, in una maniera ora sensibile, ora nascosta. Viene a chiedere se hanno posto per lui, affinché possa nascere in loro. Ma, benhé la casa che egli chiede sia sua, poiché lui l'ha costruita e la conserva, si è lamentato che i suoi non l'hanno voluto ricevere (Gv 1,11), almeno il numero maggiore tra essi. "Quanto a quelli che l'hanno ricevuto, ha concesso loro di diventare figli di Dio, e non più figli della carne e del sangue " (Gv 1, 12-13).

Preparatevi dunque a vederlo nascere in voi più bello, più radioso, più forte di come l'avete conosciuto, o anime fedeli che lo custodite in voi stesse come un prezioso deposito, e che da lungo tempo, non avete altra vita che la sua, altro cuore che il suo, altre opere che le sue. Sappiate cogliere, nelle parole della sacra Liturgia, quelle che fanno per il vostro amore, e che commuoveranno il cuore dello Sposo.

Aprite le porte per riceverlo nella sua nuova venuta, voi che già l'avevate in voi, ma senza conoscerlo; che lo possedevate, ma senza gustarlo. Egli torna con una nuova tenerezza; ha dimenticato il vostro rifiuto; vuole rinnovare tutte le cose (Ap 21,5). Fate posto al celeste Bambino, che vuol crescere in voi. Il momento è vicino: che il vostro cuore dunque si desti; perché non vi abbia sorpreso il sonno quando egli passerà, vegliate e pregate. Le parole della Liturgia sono anche per voi, perché esse parlano di tenebre che Dio solo può dissipare, di piaghe che solo la sua bontà può risanare, di languori che cesseranno solo per sua virtù.

E voi, cristiani, per cui la buona novella è come se non ci fosse perché i vostri cuori sono morti per il peccato, sia che questa morte vi tenga stretti nei suoi lacci da lunghi anni, sia che la ferita che l'ha causata sia stata inferta più di recente alla vostra anima, ecco venire colui che è la vita. "Perché dunque vorreste morire? Egli non vuole la morte del peccatore, ma vuole che si converta e viva" (Ez 18,31). La grande Festa della sua Nascita sarà un giorno di misericordia universale per tutti quelli che vorranno lasciarlo entrare. Questi ricominceranno a vivere con lui; ogni altra vita precedente sarà abolita, e sovrabbonderà la grazia là dove prima aveva abbondato l'iniquità (Rm 5,29).

E se la tenerezza e la dolcezza di questa misteriosa Venuta non vi attraggono, perché il vostro cuore non potrebbe ancora comprendere la fiducia o perché avendo per lungo tempo ingoiato l'iniquità come l'acqua, non sapete che cosa significhi aspirare mediante l'amore alle carezze d'un padre di cui avevate disprezzato gli inviti, pensate alla Venuta piena di terrore che seguirà quella che si compie silenziosamente nelle anime. Sentite lo scricchiolio dell'universo all'avvicinarsi del terribile Giudice; osservate i cieli che fuggono davanti a lui, e si aprono come un libro alla sua vista (Ap 6,41); sostenete, se ne siete capaci, il suo aspetto, i suoi sguardi fiammeggianti; guardate senza fremere la spada a doppio taglio che esce dalla sua bocca (Ap 1,16); ascoltate infine quelle grida di lamento: o monti cadete su di noi; rocce, copriteci, toglieteci alla sua vista terrificante (Lc 23,30)! Sono le grida che faranno risuonare invano le anime sventurate che non hanno saputo conoscere il tempo della visita (Lc 19,44). Per aver chiuso il loro cuore a quell'Uomo-Dio che pianse su di esse – tanto le amava! – scenderanno vive nel fuoco eterno la cui fiamma è cosi bruciante che divora il germe della terra e le fondamenta più nascoste dei monti (Dt 32,22). Ivi si sente il verme eterno d'un rimorso che non muore mai (Mc 9,43).

Coloro dunque, i quali non si sentono commossi dalla dolce notizia dell'avvicinarsi del celeste Medico, del generoso Pastore che dà la vita per le sue pecorelle, meditino durante l'Avvento sul terribile eppure incontestabile mistero della Redenzione, resa inutile dal rifiuto che l'uomo oppone troppo spesso di associarsi alla propria salvezza. Misurino le loro forze, e se disprezzano il bambino che sta per nascere (Is 9,6), pensino se saranno in grado di lottare con il Dio forte, il giorno in cui verrà non più a salvare, ma a giudicare. Per conoscerlo più da vicino, questo Giudice davanti al quale tutto deve tremare, interroghino la sacra Liturgia: qui impareranno a temerlo.

Del resto, questo timore non è soltanto proprio dei peccatori; è un sentimento che ogni cristiano deve provare. Il timore, se è da solo, rende schiavi; se compensa l'amore, conviene al figlio colpevole, che cerca il perdono del padre adirato; anche quando l'amore lo spinge fuori (1Gv 4,18), esso ritorna talora come un subitaneo lampo, e il cuore fedele ne è felicemente scosso fin nelle fondamenta. Sente allora ridestarsi il ricordo della sua miseria e della misericordia gratuita dello Sposo. Nessuno deve dunque disperarsi, in questo sacro tempo dell'Avvento, dall'associarsi ai pii timori della Chiesa che, per quanto amata, dice spesso nei suoi Uffici: Trafiggi la mia carne, o Signore, con il pungolo del tuo timore! Ma questa parte della Liturgia sarà utile soprattutto a coloro che cominciano a consacrarsi al servizio di Dio.

Da tutto ciò, si deve concludere che l'Avvento è un tempo consacrato soprattutto agli esercizi della Vita Purgativa; come indicano quelle parole di san Giovanni Battista, che la Chiesa ci ripete così spesso in questo sacro periodo: Preparate le vie del Signore! Ciascuno dunque operi seriamente a spianare il sentiero attraverso il quale Gesù entrerà nella sua anima. I giusti, secondo la dottrina dell'apostolo dimentichino ciò che hanno fatto nel passato (Fil 3,13), e attendano a nuovi impegni. I peccatori cerchino di rompere subito i legami che li tengono stretti, di lasciare le abitudini che li fanno prigionieri castighino la carne, e diano inizio al duro lavoro di sottometterla allo spirito; preghino soprattutto con la Chiesa; e quando il Signore verrà, potranno sperare che non rimarrà sulla soglia della porta, ma entrerà, perché egli ha detto: "Ecco che io sono alla porta e busso; se qualcuno sente la mia voce e mi apre, entrerò da lui" (Ap 3,20).



da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 31-35

sábado, 20 de outubro de 2012

Dom Guéranger, Caractéristiques de l’hérésie antiliturgique

Dom Guéranger, Caractéristiques de l’hérésie antiliturgique – 1841 -

dom Guéranger
« 1° Le premier caractère de l’hérésie antiliturgique est la haine de la Tradition dans les formules du culte divin. On ne saurait contester ce caractère spécial dans tous les hérétiques que nous avons nommé, depuis Vigilance jusqu’à Calvin, et la raison en est facile à expliquer. Tout sectaire voulant introduire une doctrine nouvelle, se trouve infailliblement en présence de la Liturgie, qui est la Tradition à sa plus haute puissance, et il ne saurait avoir de repos qu’il n’ait fait taire cette voix, qu’il n’ait déchiré ces pages qui recèlent la foi des siècles passés. En effet, comment le luthéranisme, le calvinisme, l’anglicanisme se sont-ils établis et maintenus dans la messe ? Il n’a fallu pour cela que la substitution de livres nouveaux et de formules nouvelles, aux formules et aux livres anciens, et tout a été consommé. Rien ne gênait plus les nouveaux docteurs; ils pouvaient prêcher tout à leur aise: la foi des peuples était désormais sans défense. Luther comprit cette doctrine avec une sagacité digne de nos jansénistes, lorsque, dans la première période de ses innovations, à l’époque où il se voyait encore obligé de garder une partie des formes extérieures du culte latin, il établit le règlement suivant pour la messe réformée : « Nous approuvons et conservons les introït des dimanches et des fêtes de Jésus-Christ, savoir de Pâques, de la Pentecôte et de Noël. Nous préférerions volontiers les psaumes entiers d’où ces introït sont tirés, comme on faisait autrefois ; mais nous voulons bien nous conformer à l’usage présent. Nous ne blâmons pas même ceux qui voudront retenir les introït des Apôtres, de la Vierge et des autres Saints, lorsque ces trois introït sont tirés des psaumes et d’autres endroit de l’Ecriture » Il avait trop en horreur les cantiques sacrés composés par l’Eglise elle-même pour l’expression publique de sa foi. Il sentait trop en eux la vigueur de la Tradition qu’il voulait bannir. En reconnaissant à l’Eglise le droit de mêler sa vois dans les assemblées saintes aux oracles des Ecritures, il s’exposait par là même à entendre des millions de bouches anathématiser ses nouveaux dogmes. Donc, haine à tout ce qui, dans la Liturgie, n’est pas exclusivement extrait des Ecritures. LIRE...

Spiegazione della Messa di Dom Prosper Guéranger O.S.B

Spiegazione
della
Santa Messa
di Dom Prosper Guéranger O.S.B
Abate di Solesmes (1805-1875)


Spiegazione delle preghiere e delle cerimonie della S. Messa

L'ordinario della Messa è l'insieme delle rubriche e delle preghiere necessarie alla celebrazione della Messa e la cui disposizione non cambia, nonostante la varietà delle feste celebrate dalla Chiesa.
Non si può avere un'idea completa delle cerimonie della Messa che riferendosi alla Messa solenne, Missa solemnis, tipo di tutte le altre. Ci si potrebbe domandare, per esempio, perché il sacerdote si sposta a recitare l'epistola ad un lato dell'altare, il Vangelo dall'altra, invece che restare al centro. Questo non riguarda il sacrificio, e non fa che ricordare quello che si fa nella Messa solenne: il diacono legge il vangelo a sinistra, il suddiacono legge l'epistola a destra, come spiegheremo più avanti. Il sacerdote, adempiendo da solo le funzioni eserciate dal diacono e dal suddiacono va, successivamente, al posto che essi occupano alla Messa solenne: Bisogna dunque cercare nella Messa solenne le ragioni del modo di agire del sacerdote quando celebra una messa bassa.Il sacrificio della messa è il sacrifico della croce; noi dobbiamo vedere Nostro Signore inchiodato alla croce e che offre il suo sangue, per i nostri peccati, a Dio, Padre suo. Tuttavia non si può assolutamente ritrovare, nelle diverse parti della Messa, le diverse circostanze della Passione di Nostro Signore, come hanno voluto fare certi autori, componendo dei metodi per assistere alla Messa.
Il sacerdote esce dalla sacrestia e si porta all'altare per offrire il santo sacrificio. Egli è, dicono le rubriche, paratus, cioè rivestito dei paramenti sacri, o vesti proprie per la celebrazione della santa Messa. Giunto davanti all'altare, egli compie la riverenza dovuta, cioè, se è presente il Santissimo Sacramento, egli fa la genuflessione; se non c'è, si limita ad un inchino profondo: ecco perché le rubriche portano queste parole: debita reverentia.


I. IL SALMO JUDICA ME DEUS

Dopo essersi fatto il segno della croce, il sacerdote pronuncia l'antifona Introibo ad altare Dei, prima del salmo XLII. Questa antifona è sempre detta all'inizio e alla fine della stessa preghiera. Di seguito comincia il salmo Judica me Deus, che viene recitato per intero, alternandosi con i ministri. Questo salmo è stato scelto causa del versetto Introibo ad altare Dei, «mi approssimerò all'altare di Dio»; è molto adatto per iniziare la celebrazione del santo Sacrificio. Del resto, la santa Chiesa sceglie sempre i salmi a motivo di un versetto che è attinente a ciò che sta compiendo o a ciò che vuole esprimere. Questo salmo non si trova da sempre nel Messale: il suo uso è stato stabilito da San Pio V, nel 1568. Udendo il sacerdote che lo proclama, si capisce - fin dalle parole dei primi versi ab homine iniquo e doloso erue me, «liberami dall'uomo iniquo e fraudolento» - che egli rappresenta Nostro Signore stesso e che parla in suo nome.
Il versetto che serve da antifona mostra che Davide era ancora giovane quando compose questo canto a gloria del Signore; perché, mentre dice che si sarebbe accostato all'altare del suo Dio, aggiunge: ad Deum qui laetificat iuventutem meam, «a Dio che allieta la mia giovinezza». Si stupisce del turbamento che sopraggiunge nella sua anima, ma ben tosto si rassicura, sperando nel suo Dio; ed è per questo che il suo canto è pieno di allegrezza. La santa Chiesa non vuole dunque che questo salmo venga recitato nelle messe dei defunti, perché, in questa occorrenza, noi andiamo a supplicare per il sollievo di un'anima, la cui dipartita ci lascia nell'inquietudine e nel dolore. Così durante il tempo di Passione, durante il quale la santa Chiesa è tutta presa dalle sofferenze del suo Sposo, e non pensa affatto a rallegrarsi.

Questo salmo è adatto per iniziare la Messa anche per quanto concerne il tema della venuta di Nostro Signore. Chi dunque deve essere inviato alle nazioni, se non colui che è luce e verità? David lo sapeva: e così si espresse: Emitte lucem tuam et veritatem tuam. Con lui noi lo ripetiamo, e anche noi diciamo a Dio: «Mandaci colui che è luce e verità».
Una volta terminato il salmo con il Gloria Patri e la ripetizione dell'antifona, il sacerdote invoca il soccorso del Signore dicendo: Adiutorium nostrum in nomine Domini; gli si risponde: Qui fecit caelum et terram. Nel salmo precedente il celebrante ha espresso il grande desiderio di unirsi a Nostro Signore, luce e verità; ma, quando riflette circa l'incontro che si sta per realizzare tra l'uomo peccatore e Dio, sente il bisogno di essere sostenuto. Dio ha voluto questo incontro, è vero, ed ha stabilito che questo avvenga d'ordinario; malgrado ciò, l'uomo sente e comprende il suo nulla e la sua indegnità. Egli si umilia e si riconosce peccatore; e, per trovare sicurezza, comincia con il segno della croce, domandando il soccorso del Signore e apprestandosi a confessare le sue colpe.


LE XX OCTOBRE. SAINT JEAN DE KENTY, CONFESSEUR.

LE XX OCTOBRE. SAINT JEAN DE KENTY, CONFESSEUR.



Kenty, l’humble village de Silésie qui donna naissance au Saint de ce jour, lui doit d'être connu en tous lieux pour jamais. Retardée par mille obstacles, la canonisation du bienheureux prêtre dont la science et les vertus avaient, au XV° siècle, illustré l'université de Cracovie, fut la dernière joie, le dernier espoir de la Pologne expirante. Elle eut lieu en l'année 1767. Déjà deux ans plus tôt, c'était sur les instances de l'héroïque nation que Clément XIII avait rendu le premier décret sanctionnant la célébration de la fête du Sacré-Cœur. En inscrivant Jean de Kenty parmi les Saints, le magnanime Pontife exprimait en termes émus la reconnaissance de l'Eglise pour l'infortuné peuple, et lui rendait devant l'Europe odieusement oublieuse un hommage suprême (1). Cinq ans après, la Pologne était démembrée.


1. Bulla canonizationis


Lisons le récit liturgique de la fête.


Le nom de Kenty vint à Jean du lieu de sa naissance, au diocèse de Cracovie. Stanislas et Anne, ses parents, étaient pieux et de condition honorable. La douceur, l'innocence, le sérieux de l'enfant donnèrent dès l'abord l'espérance pour lui des plus grandes vertus. Etudiant de philosophie et de théologie en l'université de Cracovie, il parcourut tous les grades académiques, et, devenu professeur et docteur à son tour, enseigna longtemps la science sacrée ; son enseignement n'éclairait pas seulement les âmes, mais les portait à toute piété; car il enseignait à la fois de parole et d'exemple. Devenu prêtre, sans rien relâcher de son zèle pour l'étude, il s'attacha plus encore que par le passé aux pratiques de la perfection chrétienne. L'offense de Dieu, qu'il rencontrait partout , le transperçait de douleur; tous les jours, pour apaiser le Seigneur et se le rendre propice à lui-même ainsi qu'au peuple fidèle, il offrait le sacrifice non sanglant avec beaucoup de larmes. Il administra exemplairement quelques années la paroisse d'Ilkusi ; mais effrayé du péril de la charge des âmes, il s'en démit et, sur la demande de l'université, reprit sa chaire.


Tout ce qui lui restait de temps sur l'étude était consacré soit au salut du prochain, principalement dans le ministère de la prédication, soit à l'oraison, où l'on dit qu'il était quelquefois favorisé de visions et d'entretiens célestes. La passion de Jésus-Christ s'emparait à tel point de son âme, qu'il passait à la contempler des nuits entières ; il fit, pour s'en mieux pénétrer, le pèlerinage de Jérusalem, ne craignant pas, dans son désir brûlant du martyre, de prêcher aux Turcs eux-mêmes le Christ crucifié. Il fit aussi quatre fois le voyage de Rome, marchant à pied et portant son bagage, pour visiter les tombeaux des Apôtres, où l'attiraient son dévouement, sa vénération pour le Siège apostolique, et aussi, disait-il, son désir de se libérer du purgatoire par la facilité qu'on y trouve à toute heure de racheter ses péchés. Ce fut dans un de ces voyages que, dépouillé par les brigands et leur ayant sur interpellation déclaré qu'il n avait plus rien, il se ressouvint de quelques pièces d'or cousues dans son manteau, et rappela en criant les voleurs qui fuyaient pour les leur donner; mais ceux-ci, admirant la candeur du Saint et sa générosité, lui rendirent d'eux-mêmes tout ce qu'ils avaient pris. Il voulut, comme saint Augustin, avoir perpétuellement gravé sur la muraille l'avertissement pour lui et les autres de respecter la réputation du prochain. Il nourrissait de sa table ceux qui avaient faim ; il donnait à ceux qui étaient nus non seulement les habits qu'il achetait dans ce but, mais ses propres vêtements et chaussures, faisant alors en sorte de laisser tomber son manteau jusqu'à terre pour qu'on ne s'aperçût pas qu'il revenait nu-pieds à la maison.


Son sommeil était court, et il le prenait par terre ; il n'avait d'habits qu'assez pour se couvrir; il ne mangeait que pour ne pas mourir de faim. Un dur cilice, la discipline, les jeûnes étaient ses moyens de garder sa virginale pureté comme le lis entre les épines. Il s'abstint même absolument de chair en ses repas durant environ les trente-cinq années qui précédèrent sa mort. Plein de jours et de mérites, il sentit enfin l'approche de cette mort à laquelle il s'était si longtemps, si diligemment préparé; et, dans la crainte d'être retenu par quoi que ce fût de la terre, il distribua aux pauvres, sans nulle réserve, tout ce qui pouvait lui rester. Alors, religieusement muni des sacrements de l'Eglise, ne désirant plus que de voir se rompre ses liens pour être avec Jésus-Christ, il s'envola au ciel la veille de Noël. Les miracles qui l'avaient illustré pendant sa vie continuèrent après sa mort. On porta son corps à Sainte-Anne, l'église de l'université, voisine du lieu où il avait rendu l'âme, et on l'y ensevelit avec honneur. Le temps ne fit qu'accroître la vénération du peuple et le concours à son tombeau ; la Pologne et la Lithuanie saluèrent et honorèrent en lui l'un de leurs patrons principaux. De nouveaux miracles éclatant toujours, Clément XIII, Souverain Pontife, l'inscrivit solennellement dans les fastes des Saints, le dix-sept des calendes d'août de l'année mil sept cent soixante-sept.


L'Eglise ne cesse point de vous dire toujours, et nous vous disons avec la même indomptable espérance : « O vous qui jamais ne refusâtes de secourir personne, prenez en mains la cause du royaume où vous naquîtes; c'est la demande de vos concitoyens de Pologne, c'est la prière de ceux-là même qui ne sont pas de leur nombre1. » La trahison dont fut victime votre malheureuse patrie n'a point cessé de peser lourdement sur l'Europe déséquilibrée. Combien, hélas ! d'autres poids écrasants sont venus s'entasser depuis dans la balance des justices du Seigneur! O Jean, enseignez-nous à l'alléger du moins de nos fautes personnelles ; c'est en marchant à votre suite dans la voie des vertus, que nous mériterons l'indulgence du ciel (2) et avancerons l'heure des grandes réparations.


1. Hymne des Matines de la fête. — 2. Collecte.