domingo, 11 de janeiro de 2015

DOMENICA PRIMA DOPO L'EPIFANIA FESTA DELLA SACRA FAMIGLIA

L'anno liturgico
di dom Prosper Guéranger

DOMENICA PRIMA DOPO L'EPIFANIA  
FESTA DELLA SACRA FAMIGLIA

Scopo di questa festa.
Fino a pochi anni fa era la regalità di Cristo, il suo impero eterno che la Liturgia cantava in questa Domenica, unendo i suoi cantici a quelli dei Cori angelici nell'adorazione del Dio fatto uomo (Introito della Messa della Domenica nell'Ottava della Epifania). Ma la Chiesa, guidata dallo Spirito Santo e dalla sua materna sollecitudine, ha pensato che poteva essere opportuno invitare le generazioni del nostro tempo a considerare oggi le mutue relazioni di Gesù, di Maria e di Giuseppe, per raccogliere le lesioni che esse contengono e trarre profitto dai soccorsi così efficaci che offre il loro esempio(Martirologio romano). Il fatto che nel Messale è assegnato lo stesso brano evangelico alla Domenica nell'Ottava dell'Epifania e alla recente festa della Sacra Famiglia, non è stato senza influsso - si può supporre - sulla scelta del posto che occupa ormai nel calendario la nuova solennità. Questa d'altronde non distoglie completamente il nostro pensiero dai misteri del Natale e dell'Epifania: la devozione alla sacra Famiglia non è forse nata a Betlemme, dove Maria e Giuseppe ricevettero dopo Gesù, gli omaggi dei pastori e dei Magi? E se l'oggetto dell'odierna festa sorpassa i primi momenti dell'esistenza terrena del Salvatore e si estende ai trenta anni della sua vita nascosta, non si trovano forse già presso la mangiatoia alcuni dei suoi aspetti più significativi? Gesù, nella volontaria debolezza in cui lo pone il suo stato d'infanzia, si abbandona a coloro che i disegni del Padre suo hanno affidato alla sua custodia; Maria e Giuseppe esercitano, nell'umile adorazione riguardo a Colui che ha loro dato l'autorità, tutti i doveri che impone la loro sacra missione.

Modello del focolare cristiano.
Più tardi il Vangelo, parlando della vita di Gesù fra Maria e Giuseppe a Nazareth, la descriverà con queste sole parole: "Ed era loro sottomesso. E la madre custodiva nel suo cuore tutte queste cose, e Gesù cresceva; in sapienza, in età e in grazia davanti a Dio e davanti agli uomini" (Lc 2,51.52). Per quanto breve sia in questo caso il testo sacro, esso scopre tuttavia al nostro sguardo una luminosa visione d'ordine e di pace, nell'autorità, nella sottomissione, nella dipendenza e nei mutui rapporti. La santa casa di Nazareth si offre a noi come il modello perfetto del focolare cristiano. Qui Giuseppe comanda con la calma e con la serenità, perché ha coscienza, agendo in tal modo, di fare la volontà di Dio e di parlare in suo nome. Sa che riguardo alla sua castissima Sposa e al suo divin Figlio egli è molto inferiore, tuttavia la sua umiltà gli fa accettare, senza timore né turbamento, il compito che gli è stato affidato da Dio di essere il capo della sacra Famiglia, e come un buon superiore non pensa a far uso dell'autorità se non per adempiere più perfettamente l'ufficio di servitore, di suddito, di strumento. Maria, come conviene alla donna, rimane modestamente sottomessa a Giuseppe e, a sua volta, adorando Colui cui essa comanda, dà senza esitare gli ordini a Gesù nelle mille occasioni che presenta la vita di famiglia, chiamandolo, chiedendo il suo aiuto, affidandogli questa o quella occupazione, come fa una madre con il figlio. E Gesù accetta umilmente tale soggezione; si mostra sollecito ai minimi desideri dei genitori, docile ai loro minimi ordini. In tutti i particolari della vita ordinaria, egli, più abile, più sapiente, più santo di Maria e di Giuseppe, e benché ogni onore sia dovuto a lui, resta sottomesso a loro, e lo sarà fino ai giorni della sua vita pubblica, perché quelle sono le condizioni della umanità che ha rivestito e quello è il beneplacito del Padre. "Sì - esclama san Bernardo preso dall'entusiasmo davanti a spettacolo così sublime - il Dio al quale sono sottomessi gli Angeli, al quale obbediscono i Principati, le Potestà, era sottomesso a Maria; e non soltanto a Maria, ma anche a Giuseppe a motivo di Maria! Ammirate dunque l'uno e l'altro, e osservate ciò che vi sembra più ammirevole, se la benignissima condiscendenza del Figlio o la gloriosissima dignità della Madre. Motivo di stupore da entrambe le parti; miracolo sublime ancora da entrambe le parti. Un Dio obbedisce a una creatura umana: ecco un'umiltà che non ha riscontro; una creatura umana comanda a un Dio: ecco una sublimità che non ha uguali" (Omelia I sul Missus est).
Salutare lezione quella che qui ci è presentata! Dio vuole che si obbedisca e si comandi secondo il compito e le funzioni di ciascuno, non secondo il grado dei meriti e della virtù. A Nazareth, l'ordine dell'autorità e della dipendenza non è lo stesso che quello della perfezione e della santità. Così avviene pure spesso in qualsiasi società umana e nella stessa Chiesa: se il superiore deve talvolta rispettare nell'inferiore una virtù più alta della sua, l'inferiore ha sempre il dovere di rispettare nel superiore un'autorità derivata dall'autorità stessa di Dio.
La sacra Famiglia viveva del lavoro delle sue mani. La preghiera in comune, i santi colloqui con i quali Gesù si compiaceva di formare ed elevare in maniera sempre crescente le anime di Maria e di Giuseppe, avevano un proprio tempo, e dovevano cessare davanti alla necessità di provvedere alle esigenze della vita quotidiana. Povertà e lavoro sono mezzi di santificazione troppo importanti perché Dio non li imponesse al piccolo gruppo benedetto di Nazareth. Giuseppe esercitava dunque assiduamente il suo mestiere di falegname, e Gesù, appena sarà in grado di farlo, condividerà il suo lavoro. Nel II secolo, la tradizione conservava ancora il ricordo dei gioghi e degli aratri fabbricati dalle sue mani divine (San Giustino, Dialogo con Trifone, 88).
In quelle ore, Maria compiva tutti i suoi doveri di padrona d'una umile casa. Preparava i pasti che Giuseppe e Gesù dovevano trovar pronti dopo il lavoro, attendeva all'ordine e al disbrigo delle faccende,e senea dubbio - secondo l'usanza di quel tempo - provvedeva essa stessa in gran parte ai vestiti suoi e della famiglia, oppure faceva per altri qualche lavoro il cui compenso sarebbe servito ad aumentare il benessere di tutti. Così, con la sua vita oscura ed attiva nella bottega di Giuseppe, Gesù ha elevato e nobilitato il lavoro manuale che è la sorte della maggior parte degli uomini. Assumendo per sé e per i genitori la condizione di semplice artigiano, egli ha meravigliosamente onorato e santificato la condizione delle classi lavoratrici, che possono d'ora in poi venire a cercare, in così augusti esempi, insieme ad un incoraggiamento nella pratica delle più nobili virtù, un motivo costante di soddisfazione e di felicità (Leone XIII, Breve Neminem fugit del 14 giugno 1892).
Così ci appare la sacra Famiglia sotto l'umile tetto di Nazareth, vero modello di quella vita domestica con i suoi mutui rapporti di carità e le sue ineffabili bellezze, che è la sfera d'azione di milioni di fedeli in tutto il mondo; dove il marito comanda come faceva Giuseppe, la moglie obbedisce come faceva Maria; dove i genitori sono solleciti dell'educazione dei figli, e dove questi ultimi tengono il posto di Gesù con l'obbedienza, il progresso, la gioia e la luce che diffondono intorno a sé. Secondo l'espressione d'un pio autore che ci piace citare, il focolare cristiano, per le grazie che ogni giorno e ad ogni istante sono riversate dal cielo su di lui, per la moltitudine delle virtù che, mette in azione e infine per la felicità di cui è lo scrigno, è "come il vestibolo del Paradiso" (Coleridge, La vita della nostra vita, ovvero la Storia di Nostro Signor Gesù Cristo, III, c. 16). Cosicché non c'è da stupire se esso forma l'oggetto di continui attacchi dei nemici del genere umano. E se questi riportano talora qualche notevole vittoria sul regno fondato quaggiù da Nostro Signore, ciò avviene quando riescono a contaminare il matrimonio, a distruggere l'autorità dei genitori, a raffreddare gli affetti e i doveri che legano i figli al padre e alla madre. Non v'è invasione di orde barbariche avanzanti attraverso una fiorente regione che mettono a ferro e fuoco, che sia tanto odiosa agli occhi del cielo quanto una legge che sanzioni lo scioglimento del vincolo matrimoniale, o che sottragga i figli alla custodia e alla direzione dei genitori. In tutto il mondo per misericordia di Dio, la famiglia cristiana è stata stabilita e difesa dalla Chiesa come la sua più bella creazione e il suo più .grande beneficio verso la società. Ora la luce, la pace, la purezza- e la felicità del focolare cristiano, è derivato tutto dalla vita trascorsa da Gesù, Maria e Giuseppe nella santa casa di Nazareth.

Storia del culto.
Il culto della sacra Famiglia si sviluppò particolarmente nel secolo XVII, sotto la forma di pie associazioni aventi come fine la santificazione delle famiglie cristiane sul modello di quella del Verbo incarnato. Questa devozione, introdotta nel Canada dai Padri della Compagnia di Gesù, non tardò a propagarsi rapidamente grazie allo zelo di Francesco di Montmorency-Laval, primo vescovo di Quebec. Il virtuoso Prelato, con il suggerimento e il concorso del Padre Chaumonot e di Barbara di Boulogne, vedova di Luigi d'Ailleboût di Coulonges, antico governatore del Canada, eresse nel 1665 una Confraternita di cui egli stesso ebbe cura di stendere i regolamenti, e poco tempo dopo istituì canonicamente nella sua diocesi la festa della Sacra Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, disponendo che ci si servisse della Messa e dell'Ufficio che aveva fatto comporre per tale circostanza (GosselinVie de Mgr. de Laval, I, e. 27).
Due secoli più te(di, davanti alle crescenti manifestazioni della pietà dei fedeli riguardo al mistero di Nazareth, il papa Leone XIII, con il Breve Neminem fugit del 14 giugno 1892, istituiva a Roma l'associazione della Sacra Famiglia, con lo scopo di unificare tutte le Confraternite costituite sotto lo stesso nome. L'anno seguente, lo stesso Sommo Pontefice decretava che la festa della Sacra Famiglia si celebrasse nella terza Domenica dopo l'Epifania dovunque era stata concessa, e la dotava d'una nuova Messa e d'un Ufficio di cui egli stesso aveva voluto comporre gli inni. Infine Benedetto XV, nel 1921, rendeva obbligatoria la festa in tutta la Chiesa, e la fissava alla Domenica tra l'Ottava dell'Epifania [1].

EPISTOLA (Col 3,12-17). - Fratelli: Rivestitevi adunque, come eletti di Dio, santi ed amati, di viscere di misericordia, di benignità, di umiltà, di modestia, di pazienza, sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente, se alcuno ha di che dolersi d'un altro; come il Signore ci ha perdonati, così fate anche voi. Ma soprattutto abbiate la carità, che è vincolo della perfezione. E la pace di Cristo, alla quale siete stati chiamati in un solo corpo, trionfi nei vostri cuori; e siate riconoscenti. La parola di Cristo abiti in voi nella sua pienezza con ogni sapienza. Istruitevi ed esortatevi tra di voi con salmi, inni e cantici spirituali, dolcemente a Dio cantando nei vostri cuori. Qualunque cosa diciate o facciate, tutto fate nel nome del Signore Gesù Cristo, rendendo, per mezzo di lui, grazie a Dio Padre?

In questo brano dell'apostolo san Paolo troviamo l'enumerazione delle virtù familiari che debbono adornare il focolare cristiano: la dolcezza, l'umiltà e la pazienza, con le quali le anime sono rafforzate contro l'urto dei difetti, le divergenze di temperamento e di carattere; la mutua benevolenza la quale fa sì che ciascuno cerchi di alleggerire il fardello degli altri, non conosce le disgrazie e le infermità se non per addolcirne l'amarezza; la misericordiosa indulgenza che perdona gli inevitabili screzi e dispone i cuori offesi al perdono, sull'esempio del Signore che tutto ha perdonato. Tutte queste disposizioni morali hanno come radice la carità della quale appaiono come l'irradiamento: per essa le relazioni domestiche sono perfezionate, soprannaturalizzate, e si effondono nell'affetto profondo, nel rispetto, nei riguardi, nella sottomissione e nell'obbedienza. La pratica di queste virtù, unita agli atti di religione che vengono a santificare tutte le gioie e tutte le pene legate naturalmente alla vita familiare, assicura agli uomini il più largo margine di felicità di cui possono godere quaggiù, ed è proprio in Gesù, in Maria e in Giuseppe che bisogna cercarne il modello perfetto.

VANGELO (Lc 2,42-52). - Or quando Gesù raggiunse i dodici anni di età, essendo essi andati a Gerusalemme, secondo l'usanza della festa, al ritorno, passati i giorni della solennità, il fanciullo Gesù rimase in Gerusalemme, ne se ne avvidero i suoi genitori. Supponendo che fosse nella comitiva, fecero una giornata; poi si misero a cercarlo fra i parenti e i conoscenti. Ma non avendolo trovato, tornarono a Gerusalemme a cercarlo. E avvenne che dopo tre giorni lo trovarono nel tempio seduto fra i dottori ad ascoltarli ed interrogarli, mentre gli uditori stupivano della sua sapienza e delle sue risposte. E vedendolo ne fecero le meraviglie. E sua madre gli disse: Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo ! Ed egli rispose loro : E perché cercarmi ? Non sapevate che io devo occuparmi di ciò che spetta al Padre mio ? Ed essi non intesero le parole loro dette da lui. E se ne andò con loro e tornò a Nazaret, e stava loro soggetto. Però sua madre serbava in cuor suo tutte queste cose. E Gesù cresceva in sapienza, in età e in grazia dinanzi a Dio e agli uomini.

È così, o Gesù, che tu sei venuto dal cielo per ammaestrarci. La debolezza dell'infanzia, sotto le cui sembianze ti mostri a noi, non arresta il tuo ardore per farci conoscere l'unico Dio che ha fatto tutte le cose e te stesso, Figlio suo, che ci ha inviato. Posto nella mangiatoia, ammaestri con un solo sguardo i pastori; sotto le tue umili fasce, nel tuo volontario silenzio, hai rivelato ai Magi la luce che cercavano seguendo la stella. A dodici anni, spieghi ai dottori d'Israele le Scritture che rendono testimonianza di tè; a poco a poco dissipi le ombre della Legge con la tua presenza e con le tue parole. Per adempiere gli ordini del Padre tuo celeste, non temi di turbare il cuore della Madre cercando così anime da illuminare. Il tuo amore per gli uomini trapasserà ancora molto più crudelmente quel tenero cuore il giorno in cui, per la salvezza di quegli stessi uomini, Maria ti vedrà appeso al legno della croce morente fra i più atroci dolori. Sii benedetto, o Emmanuele, in questi primi misteri della tua infanzia, nei quali appari già occupato soltanto di noi e disposto a preferire alla stessa compagnia della Madre tua gli uomini peccatori che debbono un giorno cospirare alla tua morte.

PREGHIAMO
O Signore Gesù Cristo che, sottomesso a Maria e a Giuseppe, consacrasti la vita domestica con ineffabili virtù; fa' che noi, per loro intercessione, imitiamo gli esempi della tua Santa Famiglia e ne conseguiamo la compagnia in cielo.

domingo, 2 de dezembro de 2012

DOM PROSER GUÉRANGER , PRATICA DELL'AVVENTO

PRATICA DELL'AVVENTO



Vigilanza.

Se la santa Chiesa, madre nostra, passa il tempo dell'Avvento in questa solenne preparazione alla triplice Venuta di Gesù Cristo; se, sull'esempio delle vergini savie, tiene la lampada accesa per l'arrivo dello Sposo, noi che siamo le sue membra e i suoi figli, dobbiamo partecipare ai sentimenti che la animano, e prendere per noi quell'avvertimento del Salvatore: "Siano i vostri lombi precinti come quelli dei viandanti; nelle vostre mani brillino fiaccole accese; e siate simili a servi che aspettano il loro padrone" (Lc 12,35). Infatti, i destini della Chiesa sono anche i nostri; ciascuna delle anime è, da parte di Dio, l'oggetto d'una misericordia e d'un'attenzione simili a quelle che egli usa nei riguardi della Chiesa stessa. Essa è il tempio di Dio perché composta di pietre vive; è la Sposa perché è formata da tutte le anime che sono chiamate all'eterna unione. Se è scritto che il Salvatore ha acquistato la Chiesa con il suo sangue (At 20,28), ognuno di noi può dire parlando di se stesso, come san Paolo: Cristo mi ha amato e si è sacrificato per me (Gal 2,20). Essendo dunque uguali i destini, dobbiamo sforzarci, durante l'Avvento, di entrare nei sentimenti di preparazione di cui abbiamo visto ripiena la Chiesa.



Preghiera.

E innanzitutto, è per noi un dovere di unirci ai Santi dell'Antica Legge per implorare il Messia, e soddisfare così quel debito di tutto il genere umano verso la divina misericordia. Onde animarci a compiere questo dovere, trasportiamoci con il pensiero nel corso di quelle migliaia di anni rappresentate dalle quattro settimane dell'Avvento, e pensiamo a quelle tenebre, a quei delitti di ogni genere in mezzo ai quali si agitava il vecchio mondo. Che il nostro cuore senta viva la riconoscenza che deve a Colui che ha salvato la sua creatura dalla morte, e che è disceso per vedere più da vicino e condividere tutte le nostre miserie, fuorché il peccato! Che esso gridi, con l'accento dell'angoscia e della fiducia, verso Colui che volle salvare l'opera delle sue mani, ma che vuole pure che l'uomo chieda ed implori la propria salvezza! Che i nostri desideri e la nostra speranza si effondano dunque in quelle ardenti suppliche degli antichi Profeti che la Chiesa ci mette sulle labbra in questi giorni di attesa. Disponiamo i nostri cuori, nella più larga misura possibile, ai sentimenti che essi esprimono.



Conversione.

Compiuto questo primo dovere, penseremo alla Venuta che il Salvatore vuol fare nel nostro cuore: Venuta, come abbiamo visto piena di dolcezza e di mistero, e che è la conseguenza della prima, poiché il buon Pastore non viene soltanto a visitare il suo gregge in generale, ma estende la sua sollecitudine a ciascuna delle pecore anche alla centesima che si era smarrita. Ora, per ben comprendere tutto questo ineffabile mistero, bisogna ricordare che, siccome non possiamo essere accetti al nostro Padre celeste se non in quanto egli vede in noi Gesù Cristo, suo Figlio, questo Salvatore pieno di bontà si degna di venire in ciascuno di noi, e, se noi lo vogliamo, di trasformarci in lui, di modo che non viviamo più della vita nostra ma della sua. Il fine di tutto il Cristianesimo è appunto di divinizzare l'uomo attraverso Gesù Cristo: questo è il compito sublime imposto alla Chiesa. Essa dice ai Fedeli con san Paolo: "Voi siete i miei figlioletti; poiché io vi do una seconda nascita, affinché si formi in voi Gesù Cristo" (Gal 4,19).

Ma, come nella sua apparizione in questo mondo il divino Salvatore si è dapprincipio mostrato sotto le sembianze d'un bambino prima di giungere alla pienezza dell'età perfetta che era necessaria porche nulla mancasse al suo sacrificio, egli intende prendere in noi gli stessi sviluppi. Ora è nella festa di Natale che si compiace di nascere nelle anime, e diffonde per tutta la sua Chiesa una grazia di Nascita alla quale, purtroppo, non tutti sono fedeli.

Ecco infatti la situazione delle anime all'avvicinarsi di quella ineffabile solennità. Alcune, ed è il numero minore, vivono pienamente della vita del Signore Gesù che è in esse, ed aspirano in ogni istante all'aumento di tale vita. Altre, in numero maggiore, sono vive, sì, per la presenza del Cristo, ma sono malate e languenti, non desiderando il progresso della vita divina, perché la loro carità si è raffreddata (Ap 2, 4). Il resto degli uomini non gode di questa vita, e si trova nella morte; poiché Cristo ha detto: Io sono la Vita (Gv 14,6).

Nei giorni dell'Avvento, il Salvatore va a bussare alla porta di tutte le anime, in una maniera ora sensibile, ora nascosta. Viene a chiedere se hanno posto per lui, affinché possa nascere in loro. Ma, benhé la casa che egli chiede sia sua, poiché lui l'ha costruita e la conserva, si è lamentato che i suoi non l'hanno voluto ricevere (Gv 1,11), almeno il numero maggiore tra essi. "Quanto a quelli che l'hanno ricevuto, ha concesso loro di diventare figli di Dio, e non più figli della carne e del sangue " (Gv 1, 12-13).

Preparatevi dunque a vederlo nascere in voi più bello, più radioso, più forte di come l'avete conosciuto, o anime fedeli che lo custodite in voi stesse come un prezioso deposito, e che da lungo tempo, non avete altra vita che la sua, altro cuore che il suo, altre opere che le sue. Sappiate cogliere, nelle parole della sacra Liturgia, quelle che fanno per il vostro amore, e che commuoveranno il cuore dello Sposo.

Aprite le porte per riceverlo nella sua nuova venuta, voi che già l'avevate in voi, ma senza conoscerlo; che lo possedevate, ma senza gustarlo. Egli torna con una nuova tenerezza; ha dimenticato il vostro rifiuto; vuole rinnovare tutte le cose (Ap 21,5). Fate posto al celeste Bambino, che vuol crescere in voi. Il momento è vicino: che il vostro cuore dunque si desti; perché non vi abbia sorpreso il sonno quando egli passerà, vegliate e pregate. Le parole della Liturgia sono anche per voi, perché esse parlano di tenebre che Dio solo può dissipare, di piaghe che solo la sua bontà può risanare, di languori che cesseranno solo per sua virtù.

E voi, cristiani, per cui la buona novella è come se non ci fosse perché i vostri cuori sono morti per il peccato, sia che questa morte vi tenga stretti nei suoi lacci da lunghi anni, sia che la ferita che l'ha causata sia stata inferta più di recente alla vostra anima, ecco venire colui che è la vita. "Perché dunque vorreste morire? Egli non vuole la morte del peccatore, ma vuole che si converta e viva" (Ez 18,31). La grande Festa della sua Nascita sarà un giorno di misericordia universale per tutti quelli che vorranno lasciarlo entrare. Questi ricominceranno a vivere con lui; ogni altra vita precedente sarà abolita, e sovrabbonderà la grazia là dove prima aveva abbondato l'iniquità (Rm 5,29).

E se la tenerezza e la dolcezza di questa misteriosa Venuta non vi attraggono, perché il vostro cuore non potrebbe ancora comprendere la fiducia o perché avendo per lungo tempo ingoiato l'iniquità come l'acqua, non sapete che cosa significhi aspirare mediante l'amore alle carezze d'un padre di cui avevate disprezzato gli inviti, pensate alla Venuta piena di terrore che seguirà quella che si compie silenziosamente nelle anime. Sentite lo scricchiolio dell'universo all'avvicinarsi del terribile Giudice; osservate i cieli che fuggono davanti a lui, e si aprono come un libro alla sua vista (Ap 6,41); sostenete, se ne siete capaci, il suo aspetto, i suoi sguardi fiammeggianti; guardate senza fremere la spada a doppio taglio che esce dalla sua bocca (Ap 1,16); ascoltate infine quelle grida di lamento: o monti cadete su di noi; rocce, copriteci, toglieteci alla sua vista terrificante (Lc 23,30)! Sono le grida che faranno risuonare invano le anime sventurate che non hanno saputo conoscere il tempo della visita (Lc 19,44). Per aver chiuso il loro cuore a quell'Uomo-Dio che pianse su di esse – tanto le amava! – scenderanno vive nel fuoco eterno la cui fiamma è cosi bruciante che divora il germe della terra e le fondamenta più nascoste dei monti (Dt 32,22). Ivi si sente il verme eterno d'un rimorso che non muore mai (Mc 9,43).

Coloro dunque, i quali non si sentono commossi dalla dolce notizia dell'avvicinarsi del celeste Medico, del generoso Pastore che dà la vita per le sue pecorelle, meditino durante l'Avvento sul terribile eppure incontestabile mistero della Redenzione, resa inutile dal rifiuto che l'uomo oppone troppo spesso di associarsi alla propria salvezza. Misurino le loro forze, e se disprezzano il bambino che sta per nascere (Is 9,6), pensino se saranno in grado di lottare con il Dio forte, il giorno in cui verrà non più a salvare, ma a giudicare. Per conoscerlo più da vicino, questo Giudice davanti al quale tutto deve tremare, interroghino la sacra Liturgia: qui impareranno a temerlo.

Del resto, questo timore non è soltanto proprio dei peccatori; è un sentimento che ogni cristiano deve provare. Il timore, se è da solo, rende schiavi; se compensa l'amore, conviene al figlio colpevole, che cerca il perdono del padre adirato; anche quando l'amore lo spinge fuori (1Gv 4,18), esso ritorna talora come un subitaneo lampo, e il cuore fedele ne è felicemente scosso fin nelle fondamenta. Sente allora ridestarsi il ricordo della sua miseria e della misericordia gratuita dello Sposo. Nessuno deve dunque disperarsi, in questo sacro tempo dell'Avvento, dall'associarsi ai pii timori della Chiesa che, per quanto amata, dice spesso nei suoi Uffici: Trafiggi la mia carne, o Signore, con il pungolo del tuo timore! Ma questa parte della Liturgia sarà utile soprattutto a coloro che cominciano a consacrarsi al servizio di Dio.

Da tutto ciò, si deve concludere che l'Avvento è un tempo consacrato soprattutto agli esercizi della Vita Purgativa; come indicano quelle parole di san Giovanni Battista, che la Chiesa ci ripete così spesso in questo sacro periodo: Preparate le vie del Signore! Ciascuno dunque operi seriamente a spianare il sentiero attraverso il quale Gesù entrerà nella sua anima. I giusti, secondo la dottrina dell'apostolo dimentichino ciò che hanno fatto nel passato (Fil 3,13), e attendano a nuovi impegni. I peccatori cerchino di rompere subito i legami che li tengono stretti, di lasciare le abitudini che li fanno prigionieri castighino la carne, e diano inizio al duro lavoro di sottometterla allo spirito; preghino soprattutto con la Chiesa; e quando il Signore verrà, potranno sperare che non rimarrà sulla soglia della porta, ma entrerà, perché egli ha detto: "Ecco che io sono alla porta e busso; se qualcuno sente la mia voce e mi apre, entrerò da lui" (Ap 3,20).



da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 31-35

sábado, 20 de outubro de 2012

Dom Guéranger, Caractéristiques de l’hérésie antiliturgique

Dom Guéranger, Caractéristiques de l’hérésie antiliturgique – 1841 -

dom Guéranger
« 1° Le premier caractère de l’hérésie antiliturgique est la haine de la Tradition dans les formules du culte divin. On ne saurait contester ce caractère spécial dans tous les hérétiques que nous avons nommé, depuis Vigilance jusqu’à Calvin, et la raison en est facile à expliquer. Tout sectaire voulant introduire une doctrine nouvelle, se trouve infailliblement en présence de la Liturgie, qui est la Tradition à sa plus haute puissance, et il ne saurait avoir de repos qu’il n’ait fait taire cette voix, qu’il n’ait déchiré ces pages qui recèlent la foi des siècles passés. En effet, comment le luthéranisme, le calvinisme, l’anglicanisme se sont-ils établis et maintenus dans la messe ? Il n’a fallu pour cela que la substitution de livres nouveaux et de formules nouvelles, aux formules et aux livres anciens, et tout a été consommé. Rien ne gênait plus les nouveaux docteurs; ils pouvaient prêcher tout à leur aise: la foi des peuples était désormais sans défense. Luther comprit cette doctrine avec une sagacité digne de nos jansénistes, lorsque, dans la première période de ses innovations, à l’époque où il se voyait encore obligé de garder une partie des formes extérieures du culte latin, il établit le règlement suivant pour la messe réformée : « Nous approuvons et conservons les introït des dimanches et des fêtes de Jésus-Christ, savoir de Pâques, de la Pentecôte et de Noël. Nous préférerions volontiers les psaumes entiers d’où ces introït sont tirés, comme on faisait autrefois ; mais nous voulons bien nous conformer à l’usage présent. Nous ne blâmons pas même ceux qui voudront retenir les introït des Apôtres, de la Vierge et des autres Saints, lorsque ces trois introït sont tirés des psaumes et d’autres endroit de l’Ecriture » Il avait trop en horreur les cantiques sacrés composés par l’Eglise elle-même pour l’expression publique de sa foi. Il sentait trop en eux la vigueur de la Tradition qu’il voulait bannir. En reconnaissant à l’Eglise le droit de mêler sa vois dans les assemblées saintes aux oracles des Ecritures, il s’exposait par là même à entendre des millions de bouches anathématiser ses nouveaux dogmes. Donc, haine à tout ce qui, dans la Liturgie, n’est pas exclusivement extrait des Ecritures. LIRE...

Spiegazione della Messa di Dom Prosper Guéranger O.S.B

Spiegazione
della
Santa Messa
di Dom Prosper Guéranger O.S.B
Abate di Solesmes (1805-1875)


Spiegazione delle preghiere e delle cerimonie della S. Messa

L'ordinario della Messa è l'insieme delle rubriche e delle preghiere necessarie alla celebrazione della Messa e la cui disposizione non cambia, nonostante la varietà delle feste celebrate dalla Chiesa.
Non si può avere un'idea completa delle cerimonie della Messa che riferendosi alla Messa solenne, Missa solemnis, tipo di tutte le altre. Ci si potrebbe domandare, per esempio, perché il sacerdote si sposta a recitare l'epistola ad un lato dell'altare, il Vangelo dall'altra, invece che restare al centro. Questo non riguarda il sacrificio, e non fa che ricordare quello che si fa nella Messa solenne: il diacono legge il vangelo a sinistra, il suddiacono legge l'epistola a destra, come spiegheremo più avanti. Il sacerdote, adempiendo da solo le funzioni eserciate dal diacono e dal suddiacono va, successivamente, al posto che essi occupano alla Messa solenne: Bisogna dunque cercare nella Messa solenne le ragioni del modo di agire del sacerdote quando celebra una messa bassa.Il sacrificio della messa è il sacrifico della croce; noi dobbiamo vedere Nostro Signore inchiodato alla croce e che offre il suo sangue, per i nostri peccati, a Dio, Padre suo. Tuttavia non si può assolutamente ritrovare, nelle diverse parti della Messa, le diverse circostanze della Passione di Nostro Signore, come hanno voluto fare certi autori, componendo dei metodi per assistere alla Messa.
Il sacerdote esce dalla sacrestia e si porta all'altare per offrire il santo sacrificio. Egli è, dicono le rubriche, paratus, cioè rivestito dei paramenti sacri, o vesti proprie per la celebrazione della santa Messa. Giunto davanti all'altare, egli compie la riverenza dovuta, cioè, se è presente il Santissimo Sacramento, egli fa la genuflessione; se non c'è, si limita ad un inchino profondo: ecco perché le rubriche portano queste parole: debita reverentia.


I. IL SALMO JUDICA ME DEUS

Dopo essersi fatto il segno della croce, il sacerdote pronuncia l'antifona Introibo ad altare Dei, prima del salmo XLII. Questa antifona è sempre detta all'inizio e alla fine della stessa preghiera. Di seguito comincia il salmo Judica me Deus, che viene recitato per intero, alternandosi con i ministri. Questo salmo è stato scelto causa del versetto Introibo ad altare Dei, «mi approssimerò all'altare di Dio»; è molto adatto per iniziare la celebrazione del santo Sacrificio. Del resto, la santa Chiesa sceglie sempre i salmi a motivo di un versetto che è attinente a ciò che sta compiendo o a ciò che vuole esprimere. Questo salmo non si trova da sempre nel Messale: il suo uso è stato stabilito da San Pio V, nel 1568. Udendo il sacerdote che lo proclama, si capisce - fin dalle parole dei primi versi ab homine iniquo e doloso erue me, «liberami dall'uomo iniquo e fraudolento» - che egli rappresenta Nostro Signore stesso e che parla in suo nome.
Il versetto che serve da antifona mostra che Davide era ancora giovane quando compose questo canto a gloria del Signore; perché, mentre dice che si sarebbe accostato all'altare del suo Dio, aggiunge: ad Deum qui laetificat iuventutem meam, «a Dio che allieta la mia giovinezza». Si stupisce del turbamento che sopraggiunge nella sua anima, ma ben tosto si rassicura, sperando nel suo Dio; ed è per questo che il suo canto è pieno di allegrezza. La santa Chiesa non vuole dunque che questo salmo venga recitato nelle messe dei defunti, perché, in questa occorrenza, noi andiamo a supplicare per il sollievo di un'anima, la cui dipartita ci lascia nell'inquietudine e nel dolore. Così durante il tempo di Passione, durante il quale la santa Chiesa è tutta presa dalle sofferenze del suo Sposo, e non pensa affatto a rallegrarsi.

Questo salmo è adatto per iniziare la Messa anche per quanto concerne il tema della venuta di Nostro Signore. Chi dunque deve essere inviato alle nazioni, se non colui che è luce e verità? David lo sapeva: e così si espresse: Emitte lucem tuam et veritatem tuam. Con lui noi lo ripetiamo, e anche noi diciamo a Dio: «Mandaci colui che è luce e verità».
Una volta terminato il salmo con il Gloria Patri e la ripetizione dell'antifona, il sacerdote invoca il soccorso del Signore dicendo: Adiutorium nostrum in nomine Domini; gli si risponde: Qui fecit caelum et terram. Nel salmo precedente il celebrante ha espresso il grande desiderio di unirsi a Nostro Signore, luce e verità; ma, quando riflette circa l'incontro che si sta per realizzare tra l'uomo peccatore e Dio, sente il bisogno di essere sostenuto. Dio ha voluto questo incontro, è vero, ed ha stabilito che questo avvenga d'ordinario; malgrado ciò, l'uomo sente e comprende il suo nulla e la sua indegnità. Egli si umilia e si riconosce peccatore; e, per trovare sicurezza, comincia con il segno della croce, domandando il soccorso del Signore e apprestandosi a confessare le sue colpe.


LE XX OCTOBRE. SAINT JEAN DE KENTY, CONFESSEUR.

LE XX OCTOBRE. SAINT JEAN DE KENTY, CONFESSEUR.



Kenty, l’humble village de Silésie qui donna naissance au Saint de ce jour, lui doit d'être connu en tous lieux pour jamais. Retardée par mille obstacles, la canonisation du bienheureux prêtre dont la science et les vertus avaient, au XV° siècle, illustré l'université de Cracovie, fut la dernière joie, le dernier espoir de la Pologne expirante. Elle eut lieu en l'année 1767. Déjà deux ans plus tôt, c'était sur les instances de l'héroïque nation que Clément XIII avait rendu le premier décret sanctionnant la célébration de la fête du Sacré-Cœur. En inscrivant Jean de Kenty parmi les Saints, le magnanime Pontife exprimait en termes émus la reconnaissance de l'Eglise pour l'infortuné peuple, et lui rendait devant l'Europe odieusement oublieuse un hommage suprême (1). Cinq ans après, la Pologne était démembrée.


1. Bulla canonizationis


Lisons le récit liturgique de la fête.


Le nom de Kenty vint à Jean du lieu de sa naissance, au diocèse de Cracovie. Stanislas et Anne, ses parents, étaient pieux et de condition honorable. La douceur, l'innocence, le sérieux de l'enfant donnèrent dès l'abord l'espérance pour lui des plus grandes vertus. Etudiant de philosophie et de théologie en l'université de Cracovie, il parcourut tous les grades académiques, et, devenu professeur et docteur à son tour, enseigna longtemps la science sacrée ; son enseignement n'éclairait pas seulement les âmes, mais les portait à toute piété; car il enseignait à la fois de parole et d'exemple. Devenu prêtre, sans rien relâcher de son zèle pour l'étude, il s'attacha plus encore que par le passé aux pratiques de la perfection chrétienne. L'offense de Dieu, qu'il rencontrait partout , le transperçait de douleur; tous les jours, pour apaiser le Seigneur et se le rendre propice à lui-même ainsi qu'au peuple fidèle, il offrait le sacrifice non sanglant avec beaucoup de larmes. Il administra exemplairement quelques années la paroisse d'Ilkusi ; mais effrayé du péril de la charge des âmes, il s'en démit et, sur la demande de l'université, reprit sa chaire.


Tout ce qui lui restait de temps sur l'étude était consacré soit au salut du prochain, principalement dans le ministère de la prédication, soit à l'oraison, où l'on dit qu'il était quelquefois favorisé de visions et d'entretiens célestes. La passion de Jésus-Christ s'emparait à tel point de son âme, qu'il passait à la contempler des nuits entières ; il fit, pour s'en mieux pénétrer, le pèlerinage de Jérusalem, ne craignant pas, dans son désir brûlant du martyre, de prêcher aux Turcs eux-mêmes le Christ crucifié. Il fit aussi quatre fois le voyage de Rome, marchant à pied et portant son bagage, pour visiter les tombeaux des Apôtres, où l'attiraient son dévouement, sa vénération pour le Siège apostolique, et aussi, disait-il, son désir de se libérer du purgatoire par la facilité qu'on y trouve à toute heure de racheter ses péchés. Ce fut dans un de ces voyages que, dépouillé par les brigands et leur ayant sur interpellation déclaré qu'il n avait plus rien, il se ressouvint de quelques pièces d'or cousues dans son manteau, et rappela en criant les voleurs qui fuyaient pour les leur donner; mais ceux-ci, admirant la candeur du Saint et sa générosité, lui rendirent d'eux-mêmes tout ce qu'ils avaient pris. Il voulut, comme saint Augustin, avoir perpétuellement gravé sur la muraille l'avertissement pour lui et les autres de respecter la réputation du prochain. Il nourrissait de sa table ceux qui avaient faim ; il donnait à ceux qui étaient nus non seulement les habits qu'il achetait dans ce but, mais ses propres vêtements et chaussures, faisant alors en sorte de laisser tomber son manteau jusqu'à terre pour qu'on ne s'aperçût pas qu'il revenait nu-pieds à la maison.


Son sommeil était court, et il le prenait par terre ; il n'avait d'habits qu'assez pour se couvrir; il ne mangeait que pour ne pas mourir de faim. Un dur cilice, la discipline, les jeûnes étaient ses moyens de garder sa virginale pureté comme le lis entre les épines. Il s'abstint même absolument de chair en ses repas durant environ les trente-cinq années qui précédèrent sa mort. Plein de jours et de mérites, il sentit enfin l'approche de cette mort à laquelle il s'était si longtemps, si diligemment préparé; et, dans la crainte d'être retenu par quoi que ce fût de la terre, il distribua aux pauvres, sans nulle réserve, tout ce qui pouvait lui rester. Alors, religieusement muni des sacrements de l'Eglise, ne désirant plus que de voir se rompre ses liens pour être avec Jésus-Christ, il s'envola au ciel la veille de Noël. Les miracles qui l'avaient illustré pendant sa vie continuèrent après sa mort. On porta son corps à Sainte-Anne, l'église de l'université, voisine du lieu où il avait rendu l'âme, et on l'y ensevelit avec honneur. Le temps ne fit qu'accroître la vénération du peuple et le concours à son tombeau ; la Pologne et la Lithuanie saluèrent et honorèrent en lui l'un de leurs patrons principaux. De nouveaux miracles éclatant toujours, Clément XIII, Souverain Pontife, l'inscrivit solennellement dans les fastes des Saints, le dix-sept des calendes d'août de l'année mil sept cent soixante-sept.


L'Eglise ne cesse point de vous dire toujours, et nous vous disons avec la même indomptable espérance : « O vous qui jamais ne refusâtes de secourir personne, prenez en mains la cause du royaume où vous naquîtes; c'est la demande de vos concitoyens de Pologne, c'est la prière de ceux-là même qui ne sont pas de leur nombre1. » La trahison dont fut victime votre malheureuse patrie n'a point cessé de peser lourdement sur l'Europe déséquilibrée. Combien, hélas ! d'autres poids écrasants sont venus s'entasser depuis dans la balance des justices du Seigneur! O Jean, enseignez-nous à l'alléger du moins de nos fautes personnelles ; c'est en marchant à votre suite dans la voie des vertus, que nous mériterons l'indulgence du ciel (2) et avancerons l'heure des grandes réparations.


1. Hymne des Matines de la fête. — 2. Collecte.